La coltura, o la cultura dei limoni di Nervi,  in questo scritto di Vito Elio Petrucci che ci viene riproposto grazie al lavoro di ricerca condotto in modo certosino da Mauro Salucci. Una vera e propria chicca che ci racconta di un passato tutto genovese che non tornerà mai più.

 “Penso che la coltura dei limoni si sia diffusa a Nervi durante i tempi della navigazione a vela e, più precisamente, quando si sono accorti che il modo più efficace per combattere lo scorbuto era quello di mangiare verdura fresca e limoni, cioè le vitamine quando ancora non si sapeva cos’era la vitamina, ed in particolare per le grandi richieste della flotta inglese. C’è da notare che il limone di Nervi, di scorza fina ed aromatico, rosettato, cioè con il gambo tagliato col coltello a pelo del frutto, dura anni. LLimoni di Nervia scorza diventerà dura, diventerà gialla, bruciata, ma all’interno il succo resterà intatto, con tutte le sue proprietà. per questo il largo impiego nei lunghi viaggi nei tempi andati. Da una parte la grande richiesta di limoni, dall’altra il clima di Nervi con un habitat che si presta ottimamente a questa coltura. E così le pendici di Monte Giugo per secoli sono state un grandioso limoneto, ora distrutto dall’incalzare dell’edilizia, da fattori economici, ma soprattutto dai geli. Il limone è una pianta che soffre terribilmente il gelo, a tre quattro gradi, gelano i frutti, a dieci gelano le piante, si spaccano come fossero canne. Si ricordano le gelate del 1801 (non sappiamo di quanto sia scesa la temperatura, perché non c’era l’uso dei termometri), del 1901, poi quella eccezionale del 1929 e quella meno terribile del 1956. Raccontavano i vecchi di avere dovuto andare a scavare sotto terra per fare rigermogliare le radici facendo degli innesti. A Nervi raccogliere in ogni proprietà 30 o 40 mila limoni era normale. Ogni tre limoni uno era dell’affittuario e due erano del padrone”.
Vito Elio Petrucci

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