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Quando il mio aereo atterra è già buio. L’aeroporto è bellissimo e deserto, quasi sprecato per così pochi passeggeri.
Scendo e mi guardo intorno incuriosito: sono proprio un turista molto straniero in questo aeroporto, moderno ed efficiente. I miei arrivi erano solitamente alla Stazione Principe, quando si tornava dalle vacanze estive. Odore dei treni, sbuffi bianchi delle locomotive, fischi di capostazioni con i berretti rossi, venditori di cuscini per la notte offerti in lunghe file su carrellini con le ruote. venditori di aranciate e chinotti. Cestini da viaggio in contenitori di cartone, i vagoni ristorante blu e i vagoni – letto stile liberty con i conducenti vestiti in marrone, i kepì pure marroni come i poliziotti francesi. In stazione una animazione straordinaria. “Facchino!” urlava mia madre e arrivava sempre un signore un poco curvo, uno spolverino a righe bianche e blu. Un numero in ottone, un cappello a visiera blu, pantaloni blu e una grossa cinghia di cuoio con cui legava le valigie e se le caricava sulla schiena, una davanti e una dietro. I taxi aspettavano fuori, erano verdi e neri e i bagagli si caricavano davanti, vicino all’autista. Al giovane autista che mi viene a prendere chiedo “Mi fa evitare l’autostrada? Vorrei passare sotto, per Sampierdarena” . “Come vuole, è molto meno veloce”. Io sorrido “Non ho fretta”. Attraversare il centro di Sampierdarena è tornare al passato: non è mai stata bella, ma dicono che all’inizio del secolo era piena di spiagge e stabilimenti balneari con le cabine in legno e i bambini che giocavano a far castelli di sabbia. Era un’altra città separata da Genova dalla collina di San Benigno dove c’è la Lanterna.
Domando “C’è ancora Il Toro?” “Chi?” mi chiede il giovane autista. “Il Toro, il ristorante sotto la Lanterna.” “No, credo sia chiuso da tempo”. Era il ristorante più allegro che io possa ricordare. La cucina subito all’ingresso con Checco, il padrone che cucinava personalmente: la buridda di seppie fatta di calamari e piselli, la sbira di trippe, il minestrone al pesto e stocche accomudou, tutti piatti raffinati e leggeri come la cucina ligure. Al centro del locale un tavolone comune dove si mangiava con gli altri clienti, vino della casa bianco o rosso; una delizia sia i cibi che il posto, arredato con vecchi mobili in legno scolpito come quelli che aveva in casa sua, in corso Galliera, mia nonna Delia.
Si ordinava entrando e il padrone ti faceva vedere, prima, le cose che cucinava. Era un covo di doriani: frequentato da Pietrin Podestà, un velocissimo terzino; c’erano alle pareti foto di tutte le formazioni della Sampierdarenese prima e poi della Samp.
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