Prologo – Questa è la storia di un pesce umile, l’acciuga, di una valle alpina e di tenaci montanari. È una storia da raccontare, una storia da non dimenticare.Una storia che ci farà capire come acciughe e bagna caoda siano diventate inseparabili, ma lontane dal mare.
Anchoiers in occitano, anciuè in piemontese, anciuat in lombardo. Erano i venditori di acciughe della montagna, quelli che portavano il pesce dal mare alle Alpi, sulle vie dei contrabbandieri del sale, nelle Langhe e nel Monferrato, a Torino e al di là del Ticino, fino ai navigli di Milano.
Acciughe e bagna caoda: mai più senza
Li descrive Nico Orengo nel suo Il salto dell’acciuga, uno spaccato di vita di terre e di gente. «Le acciughe piacciono, è cibo povero, cibo per il popolo». Una frase che dicevano i vecchi, senza rendere giustizia a questo pesce dal sapore inconfondibile e ingrediente principe della bagna caoda. Questo piatto tradizionaleè una vera icona della cucina piemontese.
Tanti anni fa, alla fine dell’estate, quando i lavori dei campi si erano ormai conclusi, gli abitanti delle valli alpine lasciavano le loro case alla ricerca di un modo per sbarcare il lunario.
Anche i bambini partivano e ogni valligiano si ingegnava per trovare un mestiere che gli consentisse di mettere da parte qualche soldo.
Così, ogni anno, i cosiddetti acciugai scendevano in Liguria dalla Valle Maira per comprare acciughe e pesce conservato, che poi rivendevano in Piemonte, in Lombardia, ma anche in Veneto e in Emilia.
Perché proprio dalla Val Maira?
Non è chiaro il motivo per cui il commercio delle acciughe e del pesce sotto sale provenisse proprio dalla Valle Maira. Secondo le supposizioni più accreditate tutto ebbe origine dal commercio del sale, che era gravato da dazi altissimi.
Ebbene, pare che uno sveglio valligiano avesse ben pensato di coprire la superficie della botte del sale con uno strato di acciughe salate, in modo da confondere i gabellieri.
Senonché, avendo poi scoperto che il commercio delle acciughe era altrettanto redditizio (oltre che meno rischioso) vi si dedicò, ben presto seguito da altri compaesani.
Si racconta che i primi a scendere nei porti liguri fossero i capifamiglia, i parenti e gli amici fidati li raggiungevano poi con i caruss, i caratteristici carretti azzurri costruiti a Tetti di Dronero. Così, per tutto l’inverno i montanari giravano tra i quartieri, i paesi, le cascine e le valli coperte dalla neve. Viaggiavano tirando e spingendo con fatica il loro caruss, carico di pesci salati.
Percorrevano parecchi chilometri al giorno e spesso si arrangiavano per dormire, chiedendo ospitalità in cambio di qualche acciuga. Anche per mangiare si tirava al risparmio. Ci si arrabattava con qualche acciuga sbattuta contro le aste del carretto per togliere il sale.
Molti venditori erano giovanissimi e alcuni costruirono con le acciughe la loro fortuna. Misero in piedi veri e propri imperi economici, con dipendenti e aziende di lavorazione del pesce.
Nel secondo dopoguerra i vecchi carretti lasciarono il posto ai mezzi a motore. Così la maggior parte degli acciugai della valle si trasferì in pianura per dedicarsi esclusivamente al commercio.
Con l’andar del tempo, la durezza di questo mestiere fece sì che molti giovani non seguissero le orme dei padri. Nonostante ciò, tra i banchi di alcuni mercati troviamo ancora oggi qualche acciugaio originario della Valle Maira. Quello che è rimasto è il matrimonio tra acciughe e bagna caoda.
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